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“Eroi? No, semplicemente infermieri”. Il libro di Maria Cristina Capuano che racconta il Covid nei pazienti emodializzati

Maria Cristina Capuano è un’infermiera che da quasi vent’anni lavora presso la struttura complessa di Nefrologia e Dialisi di Trieste all’ospedale Maggiore e a Cattinara. Opera al fianco di pazienti emodializzati, talvolta trasferiti nei reparti Covid, ai quali si dedica con un sentimento che dalle sue parole è prossimo all’amore. E dall’amore per questo lavoro, dall’epicentro della pandemia è nato un libro in cui ha raccolto la sua esperienza che abbraccia il suo vissuto in corsia, il primo lockdown, la didattica a distanza con la figlia, il distanziamento sociale. “Eroi? No, semplicemente infermieri” è edito da Luglio e i proventi saranno destinati alla ricerca. È una storia di guerra contro un nemico invisibile e contro la solitudine, combattuta con le mascherine, il rispetto, la consapevolezza e il sorriso.

Come è nata l’idea di questo libro?

È la prima volta che mi cimento nella stesura di un racconto. Scrivere mi è sempre piaciuto sin da bambina e in questo particolare periodo ho trovato nella scrittura una forma di terapia, capace di liberare emozioni e sentimenti che mi tenevo dentro. È un’espressione dell’anima, di sensazioni ed esperienze che si sono accumulate in un periodo così violento come quello che stiamo vivendo.

Quando ha iniziato?

Ho preferito vivere questa esperienza fino in fondo e quando a maggio abbiamo iniziato ad avere un po’ di respiro, ho avvertito l’esigenza di mettere nero su bianco il mio trascorso in corsia con lo scopo ben preciso di far conoscere quello che abbiamo passato fisicamente ed emotivamente. Ci siamo immediatamente ritrovati in una dimensione completamente diversa rispetto a quello che era il nostro quotidiano e abbiamo dovuto affrontare momenti che nessuno avrebbe mai immaginato. Non si poteva essere psicologicamente preparati a tanto e ne siamo stati travolti. Il modo con cui abbiamo reagito è dipeso dal vissuto individuale di ognuno; certe esperienze devi viverle e non c’è modo di cautelarsi preventivamente.

Cosa le è rimasto di più di questa esperienza?

Il rapporto umano che si instaura con le persone. Questo libro è stato terapeutico per me ma ha voluto anche restituire dignità e rispetto ai pazienti che abbiamo assistito in diverse fasi del loro percorso che poteva concludersi in maniera positiva o negativa. E ti trovi a combattere con una forza invisibile e invincibile che ti lega spontaneamente al paziente. In certe situazioni entri di diritto a far parte della famiglia di chi stai assistendo perché si crea un legame stretto, molto intimo, che va oltre la pura conoscenza. C’è stata la necessità di seguire le persone anche nei reparti Covid e accompagnarle sempre è stato doveroso perché avevano bisogno di noi, noi che eravamo un autentico ponte con la realtà, soprattutto in un ospedale in emergenza e blindato, inaccessibile alla rete familiare. Con un tablet spesso riuscivamo a mettere in contatto le persone più vicine ai degenti ma non tutti gli anziani sono muniti di un cellulare all’avanguardia come quello che abbiamo in tasca e allora diventavi tu, per vocazione o per dedizione, la loro sincera e premurosa finestra sul mondo.

Ha parlato di autoterapia della scrittura, ma è un libro scritto con grande altruismo per restituire dignità ai pazienti e raccontare come si vive in prima linea contro il Covid.

Il mio più grande desiderio è sempre stato quello di far comprendere alle persone che vivono fuori dai reparti, quello che emotivamente e fisicamente stiamo vivendo. Il nostro è un lavoro estremamente pesante sotto tanti aspetti ma noi infermieri andiamo avanti comunque. Vorrei far comprendere alle persone l’importanza dei comportamenti semplici quali l’uso corretto della mascherina o del distanziamento che vanno adottati nel rispetto delle persone che stanno combattendo per sopravvivere e anche di chi non ce l’ha fatta ed è morto in solitudine, la cosa più terribile, innaturale, spaventosa di questa malattia. Forse sarebbe giusto che la gente lo ricordasse più spesso, per questo il libro è nato sia per me che per acuire la consapevolezza nelle persone di quello che c’è all’interno degli ospedali.

Come si pone di fronte ai negazionisti o ai no vax?

Ci sono persone che hanno perso amici, fratelli, genitori, amori senza abbracciarli, è stato tolto loro il conforto dell’ultima carezza. Io ho scelto la mia strada, so dove mi sta portando e vado avanti, chi non crede in tutto questo prima o poi dovrà tornare sui propri passi.

Lei è candidata, assieme alle colleghe e colleghi infermieri e medici italiani, al Nobel per la pace 2021.

È una cosa molto bella, il riconoscimento di un lavoro fatto nelle corsie che porta onore alle persone che non sono più qui con noi a condividere il premio e alle centinaia di colleghi e medici che hanno donato la vita per salvarne diverse altre.

Da una tragedia così devastante nasce una forma d’arte come quella di un racconto. Riesce a vedere la luce in fondo al tunnel?

Bisogna essere positivi e vedere questa esperienza come un passaggio. La pandemia ha una data di fine; bisogna avere pazienza. Abbiamo iniziato i vaccini, pur se con qualche piccolo intoppo, ma le curve durante i percorsi fanno parte della strada e ora dobbiamo rimboccarci le maniche e andare avanti.

Nel libro prende in considerazione anche la didattica a distanza, in cui lei e soprattutto sua figlia tredicenne vi siete imbattute…

Quello sulla Dad è un capitolo molo sentito e che ho voluto dedicare ai nostri figli adolescenti che considero veramente eroi. Mia figlia vede quello che sta succedendo attraverso i miei occhi, talvolta stanchi talvolta in lacrime e nel suo piccolo cerca di fare del proprio meglio: va avanti con la didattica, sopportando di aver dovuto rinunciare alla vera e sana socializzazione con i propri coetanei in classe o fuori da scuola. A loro è stato tolto tanto nell’arco di una manciata di giorni con un semplice colpo di spugna irreversibile, senza possibilità di replica e nulla gli è stato ancora restituito. Sono loro i vincitori morali di quel Nobel.